Perché si parla inglese anche dopo la Brexit?

Storicamente le due principali lingue utilizzate dai burocrati europei sono state l’inglese e il francese. L’inglese nell’ultimo secolo si è affermato come una impareggiabile lingua franca, utilizzata in molti ambiti e di uso internazionale.

Oggi con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sorge spontanea una domanda: perché si parla inglese anche dopo la Brexit?

La scelta fatta dai cittadini del Regno Unito nel referendum del 2016 apre numerosi scenari per il futuro della lingua inglese all’interno dei palazzi dell’Unione Europea. Cerchiamo di capire insieme quali sono le reali prospettive future e come potrebbero svilupparsi nei prossimi anni.

Inglese dopo la Brexit: chi lo parla ancora?

L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea non ha eliminato l’inglese dalla burocrazia degli enti che la compongono. Oggi sono ancora presenti due Paesi che hanno l’inglese come lingua ufficiale: la Repubblica d’Irlanda e Malta (anche se in questo caso si parla di lingua co-ufficiale). Per cui per ora l’inglese può ancora dirsi parte delle lingue che si parlano all’interno dell’Unione Europea.

Secondo il The National ci sono possibilità che l’Irlanda adotti come lingua ufficiale il gaelico e Malta il maltese, così da poter iniziare a parlare di inglese fuori dalle lingue dell’UE, ma sembrano posizioni estremiste e per ora poco affidabili. Al tempo stesso si tratta di un piccolo paradosso che l’inglese sia così importante dopo la Brexit, considerando come Irlanda e Malta siano due Paesi la cui popolazione, sommata, conta circa 5 milioni di persone.

Per fare un rapido confrontro basta pensare che i cittadini appartenenti a tutti gli Stati membri dell’Unione Europea ammontano a quasi mezzo miliardo. Per questo per comprendere la reale importanza dell’inglese dobbiamo volgere lo sguardo altrove, verso il mondo dell’istruzione e delle consuetudini in ambito lavorativo.

Inglese come lingua di lavoro

La lingua inglese, nonostante la Brexit, ha avuto un grande impatto nelle comunicazioni tra persone provenienti da Paesi diversi. Oggi è quella che chiamiamo lingua franca, come già accaduto in passato con il latino, fino al Medioevo, o più recentemente con il francese, lingua molto parlata tra XVIII e XIX secolo. Nei palazzi di Bruxelles è piuttosto comune che i vari funzionari parlino in inglese, così da sveltire le comunicazioni utilizzando una lingua conosciuta dalla maggior parte degli addetti.

Una situazione di questo tipo sta portando alla nascita e alla progressiva evoluzione di un altro tipo di inglese, che alcuni iniziano a chiamare euro-english e che può essere comune a tutta l’UE. Si tratta di un inglese lontano da quello ufficiale parlato nel Regno Unito, e che per certi versi somiglia più a un dialetto. Non è raro trovare termini derivanti dalle varie altre lingue degli Stati membri, come può accadere con alcune parole delle lingue neolatine (l’italiano, il francese e lo spagnolo).

Lo scopo inconscio di chi parla questa nascente forma di inglese è di avere uno strumento di comunicazione molto pratico, che con il passare del tempo si andrà ad allontanare molto dall’inglese ufficiale, anche perché presto mancheranno i madrelingua inglesi dagli uffici dell’Unione Europea (attualmente chi ha un passaporto del Regno Unito non può accedere ai concorsi per posizione interne all’UE).

Un ritorno del francese?

Non mancano posizioni che vanno invece in verso contrario, come quelle di chi vorrebbe un ritorno in auge delle lingue nazionali, tra cui il francese. Alcune parole di Clément Beaune si prestano a una forte interpretazione in tal senso. In un suo discorso ha parlato di come sia difficile giustificare la presenza dell’inglese, e di come possa essere utile un ritorno alle lingue utilizzate dai vari Stati membri.

Una posizione suggestiva, ma che per ora sembra difficile da attuare. Il francese in passato è stato una lingua franca come oggi lo è l’inglese, ma come abbiamo visto dai dati è studiato da meno di uno studente su cinque in tutta l’UE, quindi resta importante continuare a studiarlo o perfezionarlo anchse senza andare sul posto, seguendo per esempio uno dei corsi di inglese online promossi da Portalia, che hanno il vantaggio rispetto a tanti altri, di essere personalizzati in base anche ai propri orari, oltre che ovviamente al proprio livello di conoscenza della lingua.

Inglese come terreno comune

Al tempo stesso risulterebbe assurdo eliminare del tutto l’inglese dalle lingue parlate dall’Unione Europea. Uno dei motivi riguarda l’istruzione scolastica dei Paesi membri, che vede come principale lingua straniera studiata proprio l’inglese mentre l’italiano è al quinto posto, superato anche dal russo. Le statistiche sono a forte sostegno di questo idioma.

Per analizzare al meglio la situazione possiamo fare riferimento ai dati Eurostat. Nel 2018 l’87% circa degli alunni nelle scuole secondarie superiori ha studiato la lingua inglese. La seconda lingua più studiata è il francese, ma solo dal 19% degli studenti. A brevissima distanza ci sono lo spagnolo e il tedesco, con il 18%.

Per questo oggi è impensabile eliminare l’inglese dagli uffici dell’UE, considerando come continuerà a essere una lingua molto utilizzata sia per chi viaggia, per turismo o per lavoro, sia per i contatti commerciali tra realtà provenienti da Paesi differenti. Per questo bisognerebbe iniziare a pensare all’inglese come una lingua che non è più di nessuno, e per questo è di tutti.